La città cerca la campagna come un figlio cerca la madre: immagini e piccole storie, tra favole, mini copioni, fotografie supportate da in suoni, compongono la deliziosa rassegna di centouno foto appartenenti al progetto artistico Bologna va in campagna (Giraldi Editore).
La idilliaca raccolta di scatti del fotografo Paolo Miccoli, insieme alla penna di Gianluigi Schiavon, giornalista e scrittore, vicedirettore del Resto del Carlino, ci fanno addentrare in un viaggio trasversale, con un contesto scenografico che segue il filone bucolico/onirico di A Bologna c’era il mare.
La poesia fluisce nello scorrere delle pagine attraverso delle fotografie inedite, che riflettono il volto della città come in uno specchio onesto ed invitano a riflettere su cos’è rimasto veramente dopo quella rapida corsa verso il progresso.
Ma il progetto Bologna va in campagna è anche, nostalgicamente, tutto quello che nell’epoca attuale è stato irrimediabilmente perso. Come un figlio che cerca quella madre, che un tempo abbandonò per buttarsi a capofitto nella bolgia cittadina, catapultandosi nella vita adulta verso il suo destino.
Bologna va in campagna rappresenta l’incontro della città con il suo passato campestre, in una carrellata di immagini tutte fissate in uno scatto e ingentilite da un verso, circondante di graziosa e a tratti ruvida poesia. Perché la campagna è anche lentezza, un’ombra “verde” che a tratti ci fa sprofondare nel vissuto dell’infanzia.
Come quando “Il treno / passò / indifferente / alle rovine“, a Muffa, elogio al contrario di un capitalismi spietato. Oppure “La chiesa prigioniera” di Calderino, o l’ideale mistico che ritorna quando “Dio / guardò / dall’alto / il paesaggio / appena /creato / ed ebbe / voglia / di scendere / sulla Terra“, a Lagune.
Lo scenario immortalato negli scatti di Paolo Miccoli è un reticolo di nomi familiari alla bella città emiliana, come Budrio, San Lorenzo in Collina, Qualto, Campeggio, Sasso Marconi,San Martino in Casola, Tizzano, deliziati dai coloratissimi versi di Gianluigi Schiavon. Il punto in comune è l’età d’oro vista attraverso gli occhi di un bambino, che ancora sogna nel suo presente corpo,ormai adulto.